11 novembre 2005

Erede 1: m'è sbocciato un pensiero

Ispirazione pura alle prime ore del giorno, spunti da notizie di attualità, il tema principale di un libro, di un film o di una banalissima frase detta da un amico a cui seguono spesso lunghe e faticose (ancorché piacevoli) ricerche. A volte mi si accende la classica lampadina. E da lì segue tutto il resto.
Altre, come per il caso che mi appropinquo a descrivervi, sono delle parti di te stesso e del tuo vissuto che ti porti dietro da sempre, da quando ti sono capitate.
Nel caso del progetto L'Erede Perduta, che finalmente, dopo più di un anno di lavoro, si sta per concludere, lo spunto l'ho raccolto davvero dal fondo polveroso della mia memoria. Da un episodio tanto semplice quanto strabiliante, almeno per me, che mi accingo dunque a illustrarvi. Ero un giovine virgulto... avrò avuto 16 o 17 anni, no, forse addirittura di meno; giocavo a basket. Ora, per chi non lo sapesse, la più grande aspirazione di un ragazzo "basso" come il sottoscritto (io sono 178 cm...) che gioca a basket, è quella di schiacciare: cioè, infilare la palla nel canestro direttamente con le mani, senza tirarla. Impresa che, se non si è alti, implica una notevole (sovrumana) capacità di elevazione da terra, perché l'anello è a ben 3 metri e 5 cm. Ecco, io non ci sono mai, mai riuscito, ovviamente. Al massimo, quando ero in giornata, con una buona rincorsa (e con un buon tacco... ^__^) arrivavo a sfiorare il ferro dell'anello. Eppure un giorno... Io non so bene cosa sia successo... chissà cosa avevo mangiato! Mi chiedo ancora oggi se me lo sia soltanto immaginato, o abbia visto o giudicato male ciò che ho fatto. Fatto sta che un bel giorno, eseguendo quello che un tipico esercizio d'allenamento, da fermo e senza rincorsa, proprio sotto il canestro, saltai per andare a toccare il tabellone con le mani. Beh, io quella volta mi superai e con le mani arrivai a toccare il tabellone mooolto più in alto del ferro del canestro. Raggiunsi un'altezza eccezionale, e lo feci con una facilità e una naturalezza di cui non seppi capacitarmi. Rimasi basito, stupefatto. A bocca aperta. Non credevo letteralmente ai miei occhi. Ecco, da allora, da questo "banale" episodio di vita vissuta, il pensiero, anzi, la convinzione che l'uomo, inteso come essere umano, sia capace di sfruttare solo in minima parte tutte le proprie capacità fisiche e mentali, e che in realtà possieda potenzialità latenti straordinarie, non me la toglie più nessuno dalla testa. Teoria tra l'altro molto accreditata presso la comunità scientifica, eh... non crediate che sia pazzo! Io non so né saprò mai se quel salto sia stato davvero così mirabolante, probabilmente no; ma una cosa è certa: mi ha dato lo spunto per creare una storia. Nel disegno qui sopra, la bella protagonista de L'Erede, Julia. Opera del mio socio in quest'impresa, il bravo e paziente Walter Rota.

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